CONSIGLIO DI STATO 01649/2019
Diversamente da quanto dedotto dalle appellanti, né l’amministrazione, né il giudice di prime cure hanno applicato alcun automatismo espulsivo a fronte all’omessa menzione del precedente penale di cui trattasi – automatismo che invece opererebbe in presenza delle tassative ipotesi di reato di cui all’art. 80, comma 1 del d.lgs. n. 80 n. 50 del 2016 – avendo semplicemente preso atto di come tale comportamento, una volta accertato, ben possa essere valutato dalla stazione appaltante ai fini del giudizio di affidabilità del concorrente, ai sensi del successivo comma 5, lett. c) del medesimo articolo di legge.
Deve infatti confermarsi il consolidato principio (ex multis, Cons. Stato, IV, 29 febbraio 2016, n. 834; V, 29 aprile 2016, n. 1641; V, 27 luglio 2016, n. 3402; III, 28 settembre 2016, n. 4019; V, 2 dicembre 2015, n. 5451) secondo cui nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto, l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate (sempreché per le stesse non sia già intervenuta una formale riabilitazione), anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016, può giustificare senz’altro l’esclusione dalla gara, traducendosi in un impedimento per la stazione appaltante di valutarne la gravità.
Non può infatti ammettersi che l’individuazione e la selezione delle condotte idonee ad incidere sulla moralità professionale sia rimessa alla valutazione dello stesso concorrente/dichiarante, in tal modo impedendo alla stazione appaltante di valutare la concreta incidenza della singola condanna sulla complessiva moralità professionale dell’interessato.
Il principio in questione ha una valenza generale, trovando quindi applicazione anche nelle ipotesi in cui la lex specialis di gara non abbia espressamente previsto l’obbligo per i concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate (Cons. Stato, V, 10 agosto 2017, n. 3980).